venerdì 28 marzo 2014

Comunicazioni difficili

Comunicare bene è molto difficile. Le parole sono tanto preziose quanto ambigue; potenzialmente legame e al tempo stesso ostacolo.
Ci si aspetta che io impari a farlo bene, studiando comunicazione. Desolata, un'altra cosa che non riesco a fare. Un po' di colpa la riservo all'opinione delle donne che il genere femminile stesso ha contribuito a creare negli anni. Da sempre, per motivi ignoti ai più, la femmina si diverte a dire A invece di B (che poi non è proprio B), sottintendendo un po' di C, ed ovviamente rendendo pienamente comprensibile il tutto solo tenendo presente D.
È teoria dell'adattamento, da lì in poi. L'uomo ha imparato in fretta, portato a rielaborare ciò che diciamo, ad esasperarlo, a cercarne i significati nascosti, ad analizzarne le intenzioni, e in alcuni casi di soggetti più sensibili, addirittura le figure retoriche. Ora, io non me la sento di condannare il genere maschile.
Ecco, scegliere come comunicare è un po' come scegliere tra amare e odiare. Questo gusto per l'indovinello e l'abitudine di usare, consciamente, parole inesatte, dimostrano come il linguaggio possa creare, se non volere, il fraintendimento, ma quando questo succede si dà  nella forma paradossale di un legame che divide, un collegamento che mira alla separazione. Nella sua natura di unione, si annulla. Una contraddizione, come l'odio, che è incoerente, eppure pretende di essere legame.
La mia mente non è impostata per contenere tanti contorti sottoinsiemi di concetti, non è in grado di elaborare nemmeno il più semplice inseguimento di idee: dico quel che penso, così come lo penso. Ok, probabilmente il più delle volte mi impegno a tal punto da risultare eccessiva: cerco le parole più giuste, le esamino, le contestualizzo, blablabla. Mi sto sulle palle da sola. Frettolosa, smaniosa, ma insieme ossessionata dalla frase perfetta.
Il punto è ancora un altro, e non si limita a una questione di genere: ecco che, alla fine, tutto il mio precisissimo lavoro per arrivare al punto, viene smontato. Nel momento in cui invierò il mio messaggio un ricevente lo filtrerà, decodificandolo, l'universo stesso ne ribalterà il significato. Inviare significa lasciare andare, lanciare fuori campo, al di fuori della propria area di controllo. 
Tutta una gran bella fregatura.

L.

venerdì 21 marzo 2014

Non fate scappare le fate

Tre mesi di silenzio, sono fatta così.
Haters will say che non sono in grado di portare a termine le cose (in effetti molte le inizio per poi lasciarle lì). Fermo restando la pausa esami della sessione invernale, devo ammettere che sono nel pieno di un blocco creativo. Il fatto è che ho i miei tempi, e i miei umori: questo è un periodo blu. Come quello di Picasso, solo che lui dipingeva. Io non faccio nulla, sono una persona inconcludente. Un periodo blu e letargico; ma a differenza di ghiri e tenere marmotte in ibernazione, io non preservo le mie energie: non fare assolutamente nulla è l'attività che mi stanca di più. Ci vuole onestà intellettuale; in questo periodo di nullafacenza ho dormito a qualsiasi ora, fissato muri, ed evitato accuratamente qualsiasi attività che fosse anche solo vagamente produttiva.
Eppure continuo a pensare che tutti i periodi abbiano una loro importanza.

Alle elementari, nei giorni un po' più speciali, arrivava il maestro Gabriele. Chiudeva le tapparelle e metteva le sedie a formare un cerchio, poi ci raccontava delle storie. E una filastrocca, che mi si dev'essere impiantata nel cervello.
"Ssssh, silenzio, silenzio, non sussurrate. Non fate scappare le fate".
Non sono mai stata capace, parlavo tanto.
Come al solito mi dilungo, mentre quello che volevo dire è estremamente semplice. Detto da una che non riesce mai a stare zitta, anche e soprattutto quando circostanza vorrebbe: non dimenticarti dei silenzi. Spero che il mio silenzio, pur nella mia inattività, abbia avuto una sua importanza, e forse addirittura un senso. Enjoy the silence.
Ah, è pure primavera.

Ciao,
L.