martedì 19 novembre 2013

L come Looser


Ciao, mi chiamo Ludovica, e ho un problema congenito: sono SFIGATA.
Ormai non mi stupisco più di nulla, ma il segreto è non dare mai le mie sfortune per scontate: quello è il momento in cui ne capitano di peggiori. Per affrontare l'intensiva ondata catastrofica di questa settimana con classe, non le ho dato importanza; d'altronde sono un'ottimista convinta, e "va bene lo stesso" sempre, con nonchalance. Avrei dovuto leggere i segnali sin dall'inizio, intuire che il mio weekend allungato sarebbe stato disastroso, fermarmi, chiudermi in casa, limitare i danni. Quando mai. L'incipit è il mio preferito, ha del tragicomico, mi fa quasi ridere. Mercoledì mattina: attingendo ai resti delle mie risorse vitali, tento di uscire dal letto con movimento rotatorio, avvolgendomi tra le coperte e rotolando per terra. Nonostante il risveglio non sia dei più brillanti, mi sento quasi soddisfatta-probabilmente una sensazione momentanea, ma non succedeva da tanto-e poi il rincoglionimento mattutino anestetizza qualsiasi dolore, peccato non duri abbastanza. Dopo essermi trascinata in cucina, suppongo di aver messo sù il caffè, troppo presto per i miei standard di ripresa, così che la metà cade disastrosamente sul tavolo; ma questa è la prassi. Ah, il cellulare; tanto non mi scrive nessuno. (Appuntare: il momento in cui le cose succedono, è quando meno te lo aspetti, e soprattutto è il meno opportuno). Leggo il suo nome, prima reazione tachicardica. Leggo il testo, "notte", forse rido, poi sento salire la rabbia, insieme al caffè. Se non me lo aspettavo, è colpa mia; ormai dovrei sapere come funziona, dovrei trovarlo scritto tra qualche post-it attaccato in camera. Violare la colazione, che è il mio pasto preferito, è molto scorretto, ma davanti a me si apre una prospettiva diversa, che non avevo mai preso seriamente in considerazione: non rispondere, e dare un senso diverso alla giornata. Dopodiché il mio cellulare è morto. Io ho una tesi: si è rifiutato, ribellandosi a quel messaggio privo di senso. Bisogna essere particolarmente vocati per riuscire a scrivere senza dire nulla, e quella parola buttata a caso, quelle due sillabe, quelle cinque stupide lettere, non sono assolutamente niente. Non è neppure "buonanotte", troppo faticoso, meglio risparmiare e mantenere un tono neutro e distaccato; d'altronde aggiungere "buona" sarebbe stata una presa di posizione troppo piena di implicazioni, me ne rendo conto. Anche il cellulare mi aveva lasciato: utile, ma forse non troppo comodo. Il giorno dopo tornavo a casa: pazza, mai ignorare i presagi e mettersi in viaggio. Uscita da lezione ho capito di essere in ritardo, e con borsa, tracolla e valigia, che inspiegabilmente ogni volta riesce ad essere sempre più pesante, ho iniziato a correre. Arrivata in stazione, nell'ultimo minuto utile ho fatto il biglietto alla velocità della luce, raggiungendo il binario un po' come una pazza, ma in tempo. La quiete dopo la tempesta. La mattina dopo mi sono accorta che il mio portafoglio si era dissolto nel nulla(magari proprio quello di Prada che da appena un mese ero riuscita ad ottenere in prestito perché "ora sono grande mamma, sarò stra-attentissima"), non ci volevo credere. Pur nella certezza che non lo avrei ritrovato, nella più totale disillusione, ho aspettato, sicura che se avessi fatto la denuncia, i documenti sarebbero riapparsi nel minuto immediatamente successivo. Ergo ero senza patente. Specifico: non solo abito in una micro realtà isolata tra due gallerie, in cui la vita è scandita dagli orari dei semafori verdi che scattano ogni venti minuti; abito in una frazione di quella micro realtà, in cui senza una macchina la reclusione è l'unica alternativa. Ma anche questo ostacolo è stato momentaneamente superato, per andare dal dentista. Solo buone notizie, era la regola; quindi mi hanno devitalizzato un dente. Lo hanno ucciso, torturandolo: odio i dentisti. Sfiga numero tre: domenica, per concludere degnamente la mia permanenza a casa, ho avuto la brillante idea di aggirare la sorte, e sono salita in macchina. Non è vero, non è stata brillante, è stata stupida, stupida e stupida. Ho fatto una manovra, ho rovinato la macchina. Avrei voluto piangere, ma semplicemente ero sfinita, e me lo meritavo. In tutto ciò, il mio cervello malato ha anche avuto il tempo per domandarsi se avessi ricevuto altri messaggi, e il mio cuore il tempo per incupirisi.
Adesso è lunedì, una nuova settimana. Ah, sto scrivendo seduta sulle comode scale del mio appartamento, in attesa davanti al portone. Peccato, ho dimenticato le chiavi e non ho ancora un cellulare funzionante. Ok, magari la nuova settimana inizia da domani.
I particolari più drammatici sono stati censurati per non urtare la sensibilità dei lettori.
Tratto da una storia vera.

L. (sta per "Looser")


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